Un recente studio dell’Icb-Cnr sui meccanismi di comunicazione chimica
in ambiente acquatico mette in crisi la tradizionale distinzione tra i sensi,
olfatto e gusto, basata su criteri spaziali. Il lavoro pubblicato su Pnas
Tradizionalmente, l’olfatto è considerato
un senso ‘a distanza’ mentre il gusto è trattato come un senso ‘per contatto’.
Si tratta però di una distinzione basata prevalentemente sulle percezioni umane
e che è stata sottoposta a forte critica in un articolo pubblicato nel 2014
sulla rivista Frontiers in Chemistry.
Secondo questa nuova prospettiva, in ambiente acquatico si può osservare un’inversione
nella portata a distanza dell’olfatto quando i segnali olfattivi sono veicolati
da molecole insolubili in acqua, ma che essendo volatili, possono diffondersi
nell’aria e arrivare al nostro naso. Su tale premessa si fonda il lavoro
sperimentale guidato da Ernesto Mollo, ricercatore dell’Istituto di chimica
biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pozzuoli (Icb-Cnr), recentemente
pubblicato sulla rivista Pnas. Lo studio, svolto
nell’ambito di una collaborazione multidisciplinare tra l’Icb-Cnr e varie
istituzioni di ricerca italiane e straniere, sfida l'attuale
letteratura sulla chemio-recezione in ambiente acquatico, secondo cui il mondo
olfattivo di crostacei e pesci è limitato alla sola percezione a distanza di
sostanze solubili in acqua.
La ricerca è partita dallo studio
chimico di due invertebrati marini del Mediterraneo, l’alcionaceo ‘Maasella
edwardsi’ ed il mollusco nudibranco ‘Tritonia striata’, che ha portato
all’isolamento di sostanze volatili ed insolubili in acqua (furanosesquiterpeni
idrofobi), già note per contribuire all’odore speziato di piante terrestri come
la curcuma e la mirra, che svolgono un ruolo difensivo, rendendo ‘disgustosi’
gli animali che le contengono e quindi proteggendoli dall’attacco di possibili
predatori.
“Lo studio ha mostrato che le
sostanze devono essere ‘toccate’ dalle parti boccali chemiosensoriali di pesci
e crostacei perché essi possano riconoscerne l’odore come segnale di
non-commestibilità, secondo il fenomeno conosciuto come aposematismo
olfattivo”, spiega Ernesto Mollo. “Si è poi osservato che l’avversione a tali
odori è rinforzata dalla memoria di effetti tossici sia in un gambero che in
zebrafish, un modello di vertebrato acquatico ampiamente utilizzato per studi
eco-tossicologici. Entrambi gli animali, infatti, imparano ad evitare gli odori
associati ad esperienze negative (apprendimento evitativo)”. Durante gli
esperimenti gli animali hanno avvertito la presenza di determinati elementi solo
dopo aver ripetutamente ‘toccato’ il cibo con la bocca, che ha funzionato
quindi da vero e proprio naso. “Questo fatto, chiaramente illustrato da alcuni
filmati allegati all’articolo implica che sostanze odorose tipicamente
trasportate dall’aria fino a penetrare nel naso di animali terrestri, vengono
invece direttamente a contatto con i recettori olfattivi di organismi
acquatici”, prosegue Mollo. “Di conseguenza, alla luce dei nostri risultati le
parole ‘olfatto’ e ‘gusto’ perdono il loro significato tradizionale basato su
criteri spaziali”. L’osservazione di una forma ‘tattile’ di olfatto, mai
descritta precedentemente in letteratura, sembra preludere ad una ridefinizione
dei sensi chimici, basata sulle sostanze e sui recettori coinvolti nella
percezione sensoriale piuttosto che sulla loro portata a distanza. Un
cambiamento di pensiero, di paradigma.